In questi ultimi anni, ed ancora più durante il periodo della pandemia da Covid 19, si sono intensificati i servizi di take away e delivery.
Nella sua forma tipica il take away è quel contratto con cui il cliente ordina il cibo da consumare altrove e si reca direttamente nella sede del ristoratore per prelevarlo: come tale è una vendita di beni da asporto.
Diversa tipologia è quella del catering, che pur comportando – al pari del take away – il consumo dei prodotti fuori dai locali del ristoratore, si configura come servizio, in quanto caratterizzato da servizi di accompagnamento alla consumazione (fornitura di stoviglie, di posate, di arredi e loro pulizia, apparecchiatura, presenza di personale addetto al servizio, ecc.).
Ancora diverso è il contratto di delivery: quest’ultimo rientra nella definizione di “contratto a distanza” di cui all’art. 45 del Codice del Consumo. Tale è infatti qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso.
Specificatamente si ha delivery quando il cliente ordina il cibo e chiede di farlo consegnare a domicilio o in altro luogo: in questo caso alla prestazione di preparazione /confezionamento dei cibi si affianca il servizio di trasporto, come semplice servizio accessorio, necessario per rendere possibile il consumo dei cibi.
È ininfluente in tale tipologia di contratto la modalità di ordinazione del cibo, che può avvenire indifferentemente mediante chiamata telefonica, piattaforma informatica, apposita “applicazione” scaricata sul cellulare, ecc.
Ciò che cambia è l’organizzazione del servizio di consegna: in alcuni casi di delivery il ristoratore si avvale direttamente di un incaricato delle consegne ed in questo caso l’ordine di acquisto può essere inoltrato dal cliente direttamente sul sito del ristoratore o al telefono di questi; in altri casi la prenotazione avviene direttamente ed unicamente sul sito della società incaricata delle consegne.
In tutte e tre le tipologie sopra indicate take away (fattispecie in cui il cliente ordina e ritira il cibo per consumarlo altrove), delivery (il ristoratore provvede a portare l’ordinazione direttamente al cliente in un luogo convenuto), catering (il ristoratore provvede ad organizzare la ristorazione del cliente nel luogo convenuto) il consumatore si può trovare ad affrontare diversi problemi giuridici con riferimento alla prestazione che ottiene in maniera non soddisfacente/congrua.
Nel caso del take away, il ristoratore risponde unicamente della bontà/adeguatezza/confezionamento del prodotto (cibo) venduto, ma non già della sua consegna, in quanto quest’ultima è effettata a cura e spese del consumatore. Il consumatore agirà contro il solo ristoratore.
Nel caso del delivery, invece, le contestazioni possono sorgere sia con riferimento alla bontà/adeguatezza/confezionamento del cibo acquistato, sia solo rispetto alla consegna (cibo arrivato troppo tardi oppure freddo o diverso da quello ordinato) o per entrambe le prestazioni (la prima di fornitura beni, la seconda di prestazione di servizio): in tal caso il consumatore, in quanto ha aderito ad un contratto a distanza, dovrà rivolgere le sue lamentale o domande per essere risarcito al soggetto con cui ha effettuato l’ordinazione. Sarà poi cura di quest’ultimo eventualmente ripartire sulla filiera con cui collabora la richiesta di rimborso.
Infine, nel caso del catering, le contestazioni potranno riguardare non solo il cibo, il suo confezionamento ma anche le modalità di preparazioni, di servizio ai tavoli e di impiattamento: anche in questo caso il consumatore agirà contro il responsabile con cui ha sottoscritto il contratto di catering, ovvero solo verso il ristoratore (per le lamentele che riguardano il cibo) o solo verso l’organizzatore servizio/impiattamento se le censure riguardano il solo servizio.
Altro diverso profilo con riguardo al fenomeno del delivery, ultimante salito agli onori delle cronache, riguarda la qualificazione del personale che opera non nella società di food delivery (consegne di cibo a domicilio) che opera tramite app (piattaforma digitale).
Tali lavoratori – conosciuti come riders perché si muovono in bicicletta, ma anche driver, shopper, fattorini, trasportatori ed in buona sostanza tutti quelli che si interfacciano con una piattaforma digitale – sono da considerare autonomi o dipendenti della società?
Secondo la Corte di Cassazione, il rapporto di lavoro autonomo dei riders è etero-organizzato e quindi merita le tutele del rapporto di lavoro subordinato, così come stabilito nella sentenza 24 gennaio 2020, n. 1663.
Ancora più recentemente il Tribunale Firenze, sez. lav., con sentenza 24/11/2021, n.781 ha stabilito che il rapporto di lavoro dei cosiddetti “riders addetti al food delivery” è inquadrabile nell’ambito delle collaborazioni etero-organizzate di cui all’articolo 2 del Dlgs n. 81/2015, con la conseguenza che detti lavoratori godono di una «protezione equivalente» a quella dei lavoratori subordinati con applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato. Pertanto, l’attività svolta da una piattaforma digitale finalizzata a fornire la consegna a domicilio di cibi cotti o altri beni deve considerarsi come attività di impresa e non di semplice intermediazione, di modo che il rapporto che si instaura con i fattorini (riders), che per essa operano, è un contratto avente ad oggetto un’attività lavorativa subordinata. Per scrupolo bisogna ricordare che in precedenza la Corte appello Torino, sez. lav., con sentenza 04/02/2019, n.26 aveva stabilito che il rapporto di lavoro dei cosiddetti “riders” addetti al food delivery non era di natura subordinata essendo inquadrabile nella fattispecie della collaborazione etero-organizzata di cui all’art. 2 d.lg. n. 81/2015.
Infine una curiosità: le società di food delivery sono costrette a utilizzare piattaforme e algoritmi di prenotazione e assegnazione degli ordini in modo da non determinare forme di discriminazione tra i lavoratori. Così ha stabilito il Garante per la Privacy che, con un comunicato stampa del 5 luglio 2021, ha reso noto di aver comminato una sanzione di 2,6 milioni di euro nei confronti di una piattaforma di un gruppo di food delivery che utilizzava degli algoritmi di prenotazione e di assegnazione degli ordini che davano origine a forme di discriminazione.
Avv. Luca Cattalano